Né per la patria Né per le banche!

Un debito pubblico USA fuori controllo

Il debito pubblico USA è fuori controllo, non bastano dazi e tagli alla già esigua spesa pubblica ad attirare capitali nel paradiso americano, come vorrebbe far intendere il governo Trump. Il debito pubblico ammonta oggi a più di 36000 miliardi di dollari, nessuno sembra disposto a rifinanziare i buoni del tesoro americano come avveniva in passato, inoltre oggi anche il dollaro non gode di grande fortuna, altre monete ne hanno eroso il potere costruito in un secolo di imperialismo a stelle e strisce, la disponibilità a rifinanziare il debito USA non trova più l’immediata disponibilità di qualche finanziatore come avveniva nel recente passato. Lo scatenarsi del caos generato dai dazi punta allo sviluppo di accordi bilaterali negoziati paese per paese per ottenere finanziamenti a breve e a lunga scadenza. Negoziano vendita di bond per finanziare il loro debito, e sistemi d’arma questo è ciò che gli USA oggi hanno da offrire al resto del mondo.

Inoltre non bisogna sottovalutare che, come fa qualcuno in Confindustria, le risorse per finanziare il debito USA sarebbero comunque sottratte al mercato azionario, peggiorando la già critica finanziarizzazione del sistema produttivo.

La UE come terreno di conquista per i fondi speculativi

L’Europa non va meglio, la crisi del modello tedesco ha fortemente ipotecato la tenuta politica ed economica del capitalismo continentale. In questa congiunture la UE diventa terreno di conquista per i fondi speculativi (di tutti i tipi, HI-TECH compresa) il loro inserimento utilizza la progressiva distruzione del Welfare universale e la drastica riduzione delle coperture assistenziali fin qui garantite dagli Stati. L’aumento della povertà e l’utilizzo speculativo dei risparmi dei cittadini Europei; l’inserimento nel capitale azionario dell’industria bellica dove entrano i capitali dirottati dalla spesa pubblica e dagli aumenti del debito pubblico dei vari paesi EU. Questo fenomeno ha avuto una accelerazione e si è visto maggiormente dalla dichiarazione di ostilità alla Russia.

Il capitalismo finanziario è in crisi in tutto il mondo cosiddetto occidentale, la propria oligarchia al comando intende mantenersi al potere comunque, utilizzando quelle che volgarmente vengono chiamate spinte “sovraniste”, o semplicemente “ europeiste”, in tutti e due i casi si tratta di perseguire gli obbiettivi dell’accumulazione del capitale a tutto vantaggio della classe di oligarchi al potere, a spese dei lavoratori che pagheranno questa crisi economica attraverso un maggior indebitamento pubblico per sostenere guerre e spese militari. Un nuovo ciclo di dominio del capitalismo si sta imponendo in tutto il mondo, la crisi del finanzcapitalismo sta manifestandosi apertamente, e il ricorso alla spesa per armamenti si impone per il nuovo ciclo di accumulazione.

La Germania, oggi guidata da un uomo del fondo finanziario Black Rock ha impresso una accelerazione per la spesa bellica, le borghesie salutano con favore questa nuova fase.

Il riarmo come costante del debito pubblico per attenuare la crisi del capitalismo finanziario

È inutile richiamare i disastri del passato, anche gli anni trenta del secolo scorso hanno avuto la loro peculiarità nel riarmo come spesa pubblica per attenuare la crisi del capitalismo finanziario del 1929.

Oggi come allora a farne le spese, sociali e umane , furono i lavoratori e le lavoratrici, trascinate in una guerra che non volevano.

Le élite al potere oggi come allora ne usciranno indenni, i costi non sono mai a loro carico.

Si consolida a livello planetario una forma di democrazia “illiberale”, trasparente quanto tendenzialmente autoritaria.

Uno degli elementi che caratterizzano la crisi in atto merita di essere posto in evidenza, l’oligarchia al comando, che fino ad ora sembrava una entità metafisica si sta materializzando, nomi, cognomi, residenze degli uomini e delle donne che esercitano il loro dominio planetario portandoci in guerra hanno i loro volti e i loro nomi sui giornali che controllano e sulle televisioni che ne propagandano le scarse qualità umane che non possono più dissimulare.

L’informazione è completamente imbavagliata, non passa nulla che non sia gradito ai padroni e al sistema di comando, notizie inutili vengono immesse di proposito nel circuito mediatico allo scopo di creare maggiore confusione.

La tanto decantata democrazia liberale è defunta, l’espressione politica dei parlamenti è una semplice variabile degli equilibri del capitale e del potere economico.

Si può affermare che la costruzione, in fase ormai avanzata, di una forma di democrazia illiberale con una forte torsione autoritaria, si è consolidata.

Sì è imposto un sistema politico, a livello internazionale come all’interno degli Stati, che non riconosce forme di mediazione sociale, che sviluppa una cultura basata sull’uso della forza. Molti dei contenuti della propaganda di regime sono di stampo bellicista, di sopraffazione, di esclusione dei diversi, dei deboli, dei non allineati, di chi è contro il pensiero dominante, in una risultante generale che è una sorta di fascismo strisciante.

Non ci sono remore a difendere e rivendicare, come atto indispensabile, i massacri di intere popolazioni, vedi i palestinesi, fieri della crudeltà esercitata; si arriva a punire e reprimere chi denuncia queste atrocità, vedi il caso della rappresentante per la Palestina all’ONU Francesca Albanese, che si è permessa di denunciare il genocidio in atto e di elencare i nomi dei responsabili e dei complici.

Mai, dai tempi del nazismo, la violenza e il bellicismo sono entrate cosi con prepotenza nel lessico e nel sentire comune

Nel mondo e in Europa assistiamo alla riscoperta del fascismo e del nazionalismo, per salvaguardare i propri interessi di classe

Le guerre in corso sono il paradigma della fine di un equilibrio mondiale retto da accordi che tra l’altro non vengono più rispettati da diversi decenni.

La crisi delle assemblee internazionali, come l’ONU, svelano il gioco degli attori internazionali in questa fase di cambiamento, il riemergere dello scontro inter-imperialistico, mai spento certamente, ora passato alle vie di fatto con armi ed eserciti è lì a dimostrare non solo la fine dell’egemonia USA su gran parte del pianeta, ma ribadisce con violenza il dominio di classe in tutto il mondo.

Le spese per le guerre e per le armi aumentano vertiginosamente in vista di uno scontro armato più esteso. Le potenze economico militari che si sono affermate sulla nuova scena mondiale (si pensi solo a Cina, Russia, Brasile, per citarne alcune) hanno messo in crisi la narrazione storica e il dominio delle aree legate alla potenza militare ed economica degli USA, che come si vede, pur di mantenere l’oligarchia al comando non esita a riesumare teorie reazionarie e a incantare gli imbecilli con politiche autoritarie e razziste che hanno come unico scopo quello di mantenere un potere che vacilla sotto i colpi dello scontro imperialistico.

L’Europa, quella che in molti avevano pensato come prassi alternativa di elaborazione politica, è fallita.

Ciò che resta del vecchio continente sono una oligarchia finanziaria, un gruppo militare legato agli armamenti e alla guerra e un sistema di dominio che riscopre il fascismo e il nazionalismo per salvaguardare i propri interessi di classe, proprio come quello degli USA.

Il riarmo è voluto per salvaguardare il sistema bancario e finanziario

Nel piano di riarmo europeo, che, ricordiamo, può essere declinato indifferentemente come sovranista o europeista, i tanti richiami a serrare le fila per la patria da difendere diventano ridicole forme di propaganda degne della peggior satira nazionalista.

È sulla salvaguardia del sistema bancario e finanziario che siamo chiamati a sopportare guerre e spese militari, questo come insegna la storia è l’ultimo rifugio dell’oligarchia, disposta a incendiare il mondo pur di mantenere i propri privilegi.

Noi non abbiamo mai voluto combattere per la patria, non lo faremo nemmeno per le banche e per il sistema finanziario, contro la Russia ad esempio: la nostra lotta continua con i disertori di tutti gli eserciti, a fianco alla popolazione palestinese, contro il genocidio e la deportazione dei palestinesi perpetrata dal governo fascista di Tel Aviv, non serviremo in nessun esercito, né siamo disposti ad arruolarci contro nessun nemico: il nostro nemico cerca sempre di marciare alla nostra testa, e a spese nostre.

Da sempre la guerra è capofila di una filiera produttiva finanziaria: e ora il debito pubblico collegato alle spese militari viene confezionato come prodotto finanziario e genera nuova liquidità anche speculativa.

Israele ha creato un nuovo paradigma, normalizzando il genocidio in valore finanziario. Dalla sua creazione è uno Stato caserma. Il sistema militare ha pervaso la società. La sua ricchezza, basata sulla guerra, sul militarismo e sull’inevitabile razzismo, è notevolmente aumentata. Basta pensare che dall’inizio del genocidio dei palestinesi le entrate finanziarie in Israele sono aumentate di oltre il 200%.

La storia insegna, che guerre, alleanze militari e gli obiettivi si modificano in base ai rapporti di forza, mai come oggi determinati dalla spesa e dalla tecnologia militare. Ora assistiamo impotenti ad un processo di “Israelizzazione” dei paesi europei.

Ma non è detto che questo processo regga a lungo, possiamo immaginarci un nuovo “si salvi chi può” e trovarci catapultati in un confronto ancora più duro con la nostra potenza capofila, ma declinante, gli USA.

Sempre più necessario, a tutti i livelli, opporsi al capitalismo

Il suicidio politico è evidente in tutti i paesi di Europa, costretti tra la imbarazzante sudditanza alle politiche guerresche di Londra e Washington e la contradditoria necessità di mantenere sbocchi commerciali (e soprattutto energetici) con la vicina Russia. La strada scelta dal capitale europeo è una strada pericolosa, non solo quando assume la faccia marcatamente fascista ed autoritaria, ma anche con quella rappresentata dagli elementi liberali che ancora si sforzano di apparire democratici,

Oggi la lotta contro la guerra e il militarismo passa attraverso un rifiuto netto della società patriarcale e capitalista.

E’ necessario costruire reti di solidarietà e azione a livello locale, nazionale e internazionale per alternative nonviolente per la risoluzione dei conflitti

Opponiamoci al capitalismo, restiamo umani!


Referendum 2025..SI, ancora!

La condizione sociale dei lavoratori in questi decenni è fortemente peggiorata a causa di una legislazione del lavoro che ne ha fortemente limitato i diritti, dalla “riforma” delle pensioni al “Jobs Act” del governo Renzi, alle leggi sulla cittadinanza che obbligano alla schiavitù i lavoratori immigrati, a tutto vantaggio delle imprese e del padronato.

Le morti sul lavoro, centinaia di omicidi all’anno, paghe da miseria, nessun diritto contributivo, fortemente limitati i diritti alla rappresentanza dei lavoratori, l’ostracismo di questo governo, e di quelli precedenti, alle richieste sindacali per arrivare a contratti che siano in grado di recuperare gli aumenti determinati dal tasso di inflazione reale hanno portato i lavoratori ad essere poco più che merci tra le merci, il loro valore si misura nei livelli che l’atomizzazione sociale ha prodotto.

Se questo andazzo va avanti da decenni, questo governo irride e ridicolizza qualunque controparte sindacale che non si presti a glorificare il nuovo corso corporativo da propagare a reti unificate, attacca pesantemente il diritto di sciopero, già fortemente ridotto, considera tossica la normale dialettica di classe, per quanto ridotta e residuale,nonostante gli sforzi, si riesca ad esprimere.

La riduzione a 5 anni del requisito di residenza per accedere alla cittadinanza è un chiara, per quanto moderata, richiesta di invertire la tendenza di leggi liberticide e razziste che ci portiamo dietro anch’esse da decenni, ma in un clima avvelenato di razzismo e intolleranza assume un valore simbolico importante.

In un sistema di informazione sempre più a reti unificate e imbavagliate, nel monopolio dell’informazione tra guerra e bugie, con il silenzio complice anche di alcuni settori sindacali, questi referendum rappresentano una possibilità di fare tornare protagonisti gli uomini e le donne che questo paese lo mandano avanti. Permettono di dire con voce chiara che i diritti vanno ripristinati e difesi. Condizione necessaria per poter anche solo pensare di tornare ad ampliarli.

L’8-9 giugno si configura un importante momento di lotta, una tappa essenziale per (ri)costruire una nuova solidarietà tra i lavoratori e le lavoratrici che rivendicano diritti e salario, per creare connessioni e intersezioni tra soggetti e generazioni, con una chiara valenza antifascista e antirazzista, come si è evidenziato spesso nei comitati referendari che hanno lavorato nei territori in questi mesi.

Per questo invitiamo tutti e tutte a votare 5 sì ai quesiti referendari, nel silenzio dei media e contro le posizioni della reazione politica e sociale per continuare a riaffermare la nostra tensione e il nostro diritto alla libertà e alla giustizia sociale.

Coordinamento Comunista Anarchico “Salamandre”


Cultura bellicista e militarizzazione della società

Incontro aperto sul tema lunedì 2 giugno 2025


CULTURA BELLICISTA E MILITARIZZAZIONE: DALLO STATO SOCIALE ALLO STATO DI GUERRA

FINANZIARIZZAZIONE, GUERRA E CAOS STRATEGICO: UN’ANALISI AMPLIFICATA

La finanziarizzazione non è un mero meccanismo economico, ma il cuore pulsante di una logica di dominio che trova nella guerra un elemento strutturale. La concentrazione di potere finanziario in pochi fondi globali conferisce loro la capacità di plasmare i mercati e condizionare le politiche nazionali, trasformandoli in veri e propri architetti di instabilità sistemica. La speculazione, motore di un profitto slegato da considerazioni sociali e umane, genera le condizioni ideali per conflitti e crisi. In questa prospettiva, la guerra non è un’anomalia, ma una conseguenza logica di un sistema che pone il guadagno al di sopra di ogni valore, inclusa la vita umana. Continue reading


Salamandre, che fare

Vietato salire sui muriSentiamo la necessità e l’urgenza di aggiornare le nostre griglie interpretative tradizionali per conoscere ed intervenire sul presente, inserendo nel nostro dibattito gli aspetti innovativi legati alle profonde trasformazioni avvenute nello scenario internazionale, alle nuove dimensioni del dominio e dello scontro di classe. Una classe che come diciamo da tempo ha perso i suoi connotati tradizionali, e uno scontro di classe anch’esso profondamente modificato e in fase di ulteriore veloce evoluzione a partire dai processi produttivi e di controllo.

Consideriamo prioritario ragionare anche sulle forme comunicative per rendere veicolabili e comprensibili i nostri contenuti all’interno di un panorama dove la comunicazione è diventata in generale molto complessa, soggetta ad un velocissimo sviluppo tecnologico all’interno delle modalità estemporanee di un eterno presente, in cui sono ormai patrimonio comune pratiche e aspetti di analisi per noi da approfondire e compenetrare, per uscire dalla dicotomia tra frammentazione di intervento, a volte anche avanzate, e replica stantia di dogmi storicamente rassicuranti ma inadeguati.

Novità e complessità che richiedono una grande attenzione, una intelligenza collettiva ottenibile solo con un dialogo continuativo tra coloro che intervengono attivamente nei vari territori sui diversi fronti di lotta, sia per individuare gli aspetti più innovativi che per partire da quello che c’è, per capire cosa sedimentare e su cosa avanzare, per trovare i contenuti su cui puntare affinchè possano essere veicolati a e da una comunità ampia.

E’ necessario capire cosa possa essere utile fare, oggi, per una organizzazione rivoluzionaria, e come farlo, non limitandosi ad un dialogo al nostro interno, ma allargandoci a cerchi concentrici a partire dal confronto con militanti e gruppi di sensibilità e di intervento comuni per definire insieme una forma organizzativa utile a contribuire alle forma di resistenza e di rilancio delle posizioni libertarie a partire dai concetti di dualismo organizzativo e di solidarietà collettiva.

Come Salamandre comincia quindi un percorso aperto, non solo su invito a realtà esistenti.

Una prima fase organizzatrice molto leggera, che non può venire dall’alto ma deve partire da un coordinamento tra chi agisce nei vari territori su vari fronti di lotta, a partire dai temi emergenti dagli interventi in corso, e valorizzando le conoscenze e l’interesse di chi voglia partecipare attivamente alla nascita di questa nuova realtà organizzativa in divenire, organizzando momenti di confronto e approfondimento tematici, aperti e finalizzati a confrontarsi su pratiche concrete.


Antifascismo e fasciocapitalismo

Può essere che il fascismo, pur moderando certi suoi aspetti troppo irritanti e che feriscono il sentimento umano, resti e si consolidi come strumento di coercizione violenta, comantifascismoe una spada di Damocle continuamente sospesa sulla classe lavoratrice, in modo che questa non possa mai essere tranquilla completamente in alcun rifugio, anche più legale, e sempre possa temere che il suo diritto venga violato da una improvvisa ed arbitraria violenza.

– Luigi Fabbri in “La Controrivoluzione Preventiva”

Questa spada di Damocle che Fabbri aveva giustamente individuato come la controrivoluzione preventiva, è uno strumento utilizzato dalla classe dominante per impedire lo sviluppo del movimento di lotta della classe lavoratrice, e che si è rivelato talvolta molto più utile della repressione poliziesca ed anche rispetto all’adescamento social-democratico, assai costoso per i padroni.

Tanto che malgrado la sconfitta completa, militare e politica, la borghesia italiana (e quella del neonato impero americano) già dal 1945 sceglieva di non disfarsene completamente, ma anzi di tenere questi mastini ammaestrati sotto braccio, puntando a un riutilizzo immediato di questa carta nei tempi che si delineavano. E infatti ben sappiamo come il fascismo e i fascisti si siano abbondantemente riciclati in Italia e di come lo Stato italiano abbia continuato a servirsene in chiave paramilitare. A questo proposito è utile ricordare l’amnistia voluta da Togliatti nel 1947 che consegnò molti apparati dello Stato ai vecchi gerarchi fascisti.

E oggi, nel 2019, nel venir meno di un forte movimento sociale ecco che sempre più si mostrano alla luce del sole fino ad essere arrivati a coprire cariche istituzionali. Cariche che con la loro propaganda di odio e con il loro scientifico e mirato disprezzo per la storia, hanno consentito alle idee fasciste di tornare in circolazione e di essere comunemente accettate come portatrici di barriere contro il degrado e la corruzione della società attuale. E ad ogni attacco fascista verso le fasce più deboli ed esposte, subito viene fatto del benaltrismo, vengono citati gli opposti estremismi del fascismo e dei ‘centri sociali’, vengono additate come ragazzate. La parola fascismo – ‘the F. word’ – è vietata nei resoconti dei fatti.

Certo, rispetto agli anni ’20 non esiste oggi un partito unico fascista, ma più organizzazioni che si distinguono anche nel loro grado di appartenenza alle istituzioni e a rivendicazioni più o meno dichiarate del fascismo in sé. Si parte da chi ostenta dichiaratamente orgoglio per le idee del ventennio, chi cerca di emulare il fascismo sociale, sansepolcrino prima e repubblichino poi; chi infine nasconde le insidie di cui è portatore dietro Onlus apparentemente benefiche che si occupano di solidarietà, difesa della natura ed altre tematiche ‘sociali’. Questo modo di porsi ha come obiettivo primario quello di sdoganarsi all’interno della società civile, portata a considerare ontologicamente buono chi fa del bene; in secondo luogo serve ai fascisti per occupare casematte all’interno di tematiche solitamente appannaggio dei movimenti di sinistra. In tal senso bisogna fare attenzione anche ai tentativi di infiltrazione, che da sempre vengono tentati da destra verso sinistra.

Il maggiore intervento che ha avuto il fascismo negli ultimi anni in Italia è servito a consolidare intorno al proletariato una ‘cappa’ che punta a impedire sempre di più il lavoro di massificazione delle idee e proposte della sinistra, sfruttando le frustrazioni sempre maggiori in un contesto di crisi economica e dispersione politica con una presunta sinistra istituzionale incapace di opporsi, che anzi cammina quasi sugli stessi binari, su temi quali migranti, lavoro, movimenti sociali… per semplificare, la retorica del nemico interno rivolta alle fasce più deboli e più esposte della società, un esperimento cui la miglior dimostrazione è sicuramente quella condotta dal partito nazista in Germania negli anni ’30 e di cui i replicatori di oggi paiono ben coscienti. Sopratutto nell’essere riusciti a creare un discorso che vede mettere queste fasce più vulnerabili della società assieme a quella che sarebbe la classe dominante, sfruttando l’innato odio di classe in tutti coloro che vengono sfruttati ed oppressi dal capitalismo, ma sviandolo e distorcendolo.

Ma ciò avviene oggi in un contesto che non si può discostare da quelle che sono le dinamiche geopolitiche ed economiche, dove il rinnovato imperialismo di Mosca e una Casa Bianca traballante puntano alla disgregazione dell’Unione Europea per poter cosi invadere il mercato con le proprie esportazioni.

Quanto suggerito da David Harvey (L’enigma del capitale, 2010), ossia che “Le crisi finanziarie servono a razionalizzare le irrazionalità del capitalismo; di solito conducono a riconfigurazioni, a nuove sfere di investimento e nuove forme di potere di classe” viene oggi ancora di più confermato, con il capitalismo alla ricerca di un nuovo modello di regolazione e la venuta alla ribalta di governi autoritari, in un contesto di maxi sfruttamento in cui l’abisso che separa le classi sociali non permette in nessun caso alcuna briciola di welfare e quindi l’unica risposta possibile per tenere in piedi la baracca è la repressione, che va legittimata appunto con la lotta al nemico interno. E abbiamo assistito in Italia a tentativi sempre più frequenti di inquadrare attivisti/e delle lotte sociali in leggi antiterroristiche. L’opposizione e la protesta sono, checché ne dica la democrazia o la costituzione, da considerare un crimine e un impedimento al progresso del paese.

E per rendere le cose ancora più piacevoli, non solo il fascismo è carico di infiltrazioni politiche nello Stato, nelle forze di repressione e nei veicoli mediatici, ma ha dimostrato in questi anni tutto il suo gemellaggio con un altro dei più importanti bracci del potere dello Stato e di maggior flusso di capitale: il traffico di stupefacenti gestito dalle corporazioni e clan mafiosi.

La diffusione e propagazione dei discorsi di odio verso il nemico interno, molte volte utilizzando notizia completamente false, oggi è profondamente preoccupante, da un lato pavimenta la strada per un completo ritiro dei diritti che la classe lavoratrice ha conquistato negli ultimi 100 anni; permette di proseguire con il genocidio nel Mediterraneo e il super sfruttamento della mano d’opera clandestina, cosi come procede anche alla distruzione del diritto all’esistenza duramente conquistato dalle persone LGBT, con ancora maggiore accanimento da parte del governo attuale verso i diritti conquistati attraverso la lotta e con molta fatica dalle donne per il proprio riconoscimento in quanto essere umani e non meri apparati riproduttori a servizio degli uomini costruttori della civiltà.

I successivi attacchi al diritto all’aborto, agli anticoncezionali, ai consultori, ai centri antiviolenza, cosi come alle femministe si inserisce in quanto sopra accennato a proposito della frustrazione degli uomini italiani, borghesi e proletari, che hanno visto i loro privilegi diminuiti ed esprimono oggi questa necessità impellente di affermare la propria mascolinità in una vera e propria controffensiva del patriarcato. Non è mai superfluo affermare che la battaglia contro il capitalismo deve essere per forza intersezionale alle singole lotte: non si può essere antifascisti e non antisessisti; antirazzisti e non anticapitalisti. Tutto deve essere interconnesso e legato per meglio affrontare un capitale che – lui si! – è tentacolare in ogni minimo aspetto della vita sociale di ogni individuo.

Appunti per un contrattacco

Tutto ciò viene a confermare il già detto, che il fascismo è un ramo del grande tronco statale-capitalistico, od una filiazione di esso. Combattere il fascismo lasciando indisturbato il suo perenne generatore, ed anzi illudersi di trovare in questo un difensore contro quello, significa continuare ad aver sempre sulle spalle, ogni giorno più pesanti ed oppressivi, e l’uno e l’altro. Uccidere il fascismo è possibile, sol che l’azione di difesa contro di lui, imposta dalle circostanze, non vada scompagnata dall’attacco alle sue sorgenti: il privilegio del potere ed il privilegio della ricchezza.

Quindi, per la classe lavoratrice che si batte per la propria liberazione verso una società più giusta, più libera e di benessere, non c’è altro modo che uccidere il fascismo. Ucciderlo deliberatamente senza adagiarsi su aspettative o aspettando per forza di cose una supposta evoluzione naturale, cambiamenti socio-economici o altre simili espressioni con cui si tende a mascherare la propria riluttanza allo sforzo di volontà. Tocca qui, per poter proseguire, capire meglio cosa intendiamo con ‘uccidere il fascismo’ e cediamo nuovamente la parola a Luigi Fabbri:

“Uccidere il fascismo non significa, naturalmente, ammazzare le persone del fascismo. Spesso la violenza contro di queste alimenta il primo, invece di ucciderlo. Che gli aggrediti dai fascisti, in determinate circostanze di tempo e di luogo, si difendano come sanno e come possono, è cosa naturale ed inevitabile. Non è un male, ma se anche fosse un male la cosa succederebbe lo stesso. 
Però ingaggiare la lotta materiale contro il fascismo, come organismo a sé, non vedendo altro nemico che lui, sarebbe un pessimo affare; sarebbe come tagliare i rami d’una pianta venefica, lasciandone intatto il tronco, come sciogliersi da qualche tentacolo della piovra senza colpirne la testa. Si potrà infliggere così al fascismo qualche sconfitta parziale, si potran seminare tra i fascisti dei lutti; ma ciò non servirà che ad inasprire inutilmente la lotta, e può servire a rafforzare il fascismo, contribuire a farlo diventare un organismo sempre più robusto.
La lotta contro il fascismo non può essere fatta in modo efficace che colpendolo attraverso le istituzioni politiche ed economiche, da cui emana e da cui trae alimento. I rivoluzionari, del resto, che mirano all’abbattimento del Capitalismo e dello Stato, se si lasciassero tirare fuori strada dal fascismo, come un fulmine che si lascia attirare dal parafulmine, e dedicassero le loro forze e si esaurissero nel combattere il solo fascismo, renderebbero un servigio alle istituzioni che pur vorrebbero demolire”.

L’antifascismo che costruiamo quindi parte da due presupposti fondamentali:

a) l’inquadramento del fascismo all’interno del capitalismo e dello Stato, ovvero della lotta di classe, potendo quindi parlare, sopratutto oggi dove più che controrivoluzione si tratta di garante dei flussi di capitale, di fasciocapitalismo;

b) la dimensione della lotta che passa attraverso la strategia di massa, di intervento nei territori e in seno alla classe lavoratrice combattendo la riproduzione dei discorsi di odio, promuovendo una dimensione di società diversa, basata su altri valori quali la solidarietà, l’uguaglianza e la libertà. Affrontando la questione non tanto da un punto di vista militaresco di scontro fisico o elettorale, ma di contrasto culturale all’egemonia, non in forma astratta, ma costruendo spazi attivi all’interno dei quartieri, scuole e luoghi di lavoro.

Quindi costruire l’antifascismo per noi vuol dire anche intervenire all’interno di spazi già antifascisti con pratiche che possano portare a una miglior organizzazione e quindi di avere più possibilità di dare risposte concrete e conclusive all’avanzare del nemico.

I militanti e le militanti, le sezione e Alternativa Libertaria come un tutto, non devono esitare nella politica di alleanze quando si tratta appunto di antifascismo, anche se molte volte può darsi che ci siano diverse declinazioni, concettuali e pratiche. Per resistere e pavimentare la strada oggi non possiamo avere principati in cui rifugiarci, ma anzi bisognerà sforzarsi per allargare il più possibile le nostre braccia e influenzare con i nostri contenuti e pratiche quella che deve essere la lotta antifascista.

Per riprendere l’offensiva e cambiare in vittoria una situazione che sembra già persa in partenza l’agire antifascista diffuso che proponiamo deve caratterizzarsi da una tattica variata, mutevole e capace di adattarsi alle realtà dei diversi territori e situazioni, imprevedibile e che riesca ad evitare i punti fortificati del nemico ed insediarsi nei suoi ‘vuoti’. Una tattica che però presuppone una unità di intenti, un convogliare le forze di tutto ciò che sia possibile radunare senza sprecare energie e risorse in mosse inutili e fiaccanti.

Infatti, come evidenziato, il fasciocapitalismo non è fatto solo di organizzazioni dal braccio teso, ma di discorsi e azioni governative destinati a settori di lotta che possono sembrare distinti ma appunto distinti non lo sono per niente. Battersi per i diritti sul lavoro, per un sistema di accoglienza e integrazione solidale e dignitoso, rivelare i meccanismi infidi e perversi dei padroni, smascherare le notizie false, ed avere anche l’umiltà di porsi nei confronti della nostra classe senza atteggiarsi con superiorità come molte volte pretendono organizzazioni di sinistra portatrici di un preteso ruolo illuminante verso le masse ignoranti. Non siamo estranei al proletariato, ne facciamo parte con tutte le sue contraddizioni, e nostro compito è affrontarle per risolverle.

È imprescindibile difendere il diritto all’amore e alla sessualità libera di tutte le persone, senza discriminare o pretendere che esista un (falso) ordine naturale, cosi come è imprescindibile contribuire alla resistenza dei movimenti femministi e battersi per rovesciare il rapporto di forze conquistando più diritti. Ciò va fatto non solo attraverso scioperi e manifestazioni, ma anche tramite momenti formativi direzionati alle donne per l’acquisizione di strumenti di emancipazione e agli uomini per il riconoscimento dei propri comportamenti maschilisti. Un’attività da svolgere collettivamente, verso persone non militanti cosi come anche all’interno di spazi militanti dove assistiamo molte volte a comportamenti violenti e patriarcali che non possono appartenere al movimento rivoluzionario.

Se la controrivoluzione è l’organizzazione dell’odio, la rivoluzione sociale deve essere l’organizzazione dell’amore, della solidarietà, della creatività. Un’organizzazione imprescindibile sopratutto per le nuove generazioni. Un’organizzazione che punta alla propria difesa e che in nessun caso è passiva e pacifica.

Mozione approvata al X Congresso di Alternativa Libertaria/fdca,

Fano, 30 marzo 2019


E’ nato il coordinamento Salamandre

Questo documento parla di una scissione inevitabile, di un’assemblea autoconvocata dalle compagne e dai compagni fuoriusciti da AL-FdCA e della conseguente nascita di un Coordinamento, denominato “Salamandre”.

“ Il ciarlatano fascista afferrò la maschera da lupo mannaro, si diede alla magia con nomi semifolli, con sceneggiature da romanzo dell’orrore che trapassa nel kitsch ma anche nella schizofrenia del piccolo borghese, ben utilizzata con profitto. Insomma la schizofrenia della cuccagna presa sul serio, che viene anch’essa dal dorato occidente”

( tratto da Il principio speranza, Ernst Bloch)

 

Una scissione sofferta, ma ormai inevitabile di fronte ad una gestione sclerotizzata ed autoritaria

Alcuni mesi fa un gruppo di compagni e compagne, firmatari tra gli altri di questo documento, ha deciso di scindersi da AL-FdCA, pur avendo contribuito a consolidarla in decenni di militanza politica.

Non è stato un fulmine a ciel sereno, è stata una scelta sofferta e ragionata di un nutrito gruppo di militanti di fronte al diniego senza appello, da parte della Segreteria di AL-FdCA, di convocare un Congresso straordinario richiesto da tempo. Un diniego che ha rappresentato l’ulteriore prova del livello di sclerotizzazione in atto nell’organizzazione politica da tempo imbalsamata in un aspetto formale di continuità – purtroppo subito passivamente dai più- che ha coperto e copre l’incapacità di confrontarsi con il nuovo che avanza.

Una scissione peraltro inevitabile proprio per ritrovare il senso del comunismo anarchico

Una sclerotizzazione che oltretutto ha prodotto, negli ultimi anni, una identità ideologica auto-referenziale che non può bastare, né storicamente è mai bastata alla nostra organizzazione politica, per restare fedeli al mandato storico che come comunisti anarchici abbiamo sempre perseguito. Una identità ideologica peraltro privata del necessario dibattito sugli aspetti emergenti legati al nuovo scenario internazionale e allo stato della nostra classe di riferimento.

Uno scenario mondiale che non ci può trovare inermi

Il mondo è sull’orlo di una catastrofe, ambientale sociale culturale e politica. Il capitalismo (inteso come modo di produrre e di consumare che determina i rapporti sociali) sta distruggendo intere regioni del pianeta impedendo alle popolazioni di vivere su quei territori. Gli effetti drammatici dei forti e sempre più repentini cambiamenti climatici aggravati da una irresponsabile gestione delle risorse territoriali privano le popolazioni dei beni essenziali a riprodurre la vita umana. La devastazione sociale e culturale è evidente, l’atomizzazione sociale e la privatizzazione dei servizi sociali continuano il loro cammino in cerca di sempre maggiori profitti che vengono inghiottiti dal sistema finanziario.

La ristrutturazione del capitalismo e la ridefinizione delle aree del potere globale stanno determinando svolte autoritarie in tutti i paesi del mondo, mentre il militarismo e la guerra -che viene ormai invocata come una necessità dagli attori internazionali- stanno avendo il sopravvento su ogni cosa.

L’accelerazione dei processi di disfacimento politico e sociale sta portandoci, anche a scala nazionale, in un tunnel senza uscita: le istanze di libertà e autodeterminazione individuale e collettive vengono attaccate a tutti i livelli, per far fronte a dinamiche repressive e di censura.

Anche il ruolo dello Stato, così come i processi di sfruttamento economico, si è modificato e ha ceduto alle oligarchie finanziarie il ruolo di gestore degli investimenti e del livello di welfare ammissibile. Le privatizzazioni dei beni pubblici, della sanità e della scuola hanno portato a un ulteriore impoverimento di uno strato sempre più ampio di popolazione, sempre più privato dei beni e dei servizi essenziali e necessari ad una vita minimamente dignitosa.

Da Bologna la necessità di darsi percorsi e strumenti per adeguare le procedure tradizionali di lotta

Quanto successo in questi ultimi anni ha dimostrato che le organizzazioni politiche che si chiudono dogmaticamente su se stesse finiscono col non essere più in grado di interpretare gli avvenimenti politici e culturali, le nuove dimensioni del potere, le nuove determinazioni dello scontro di classe, sfuggendo alle inevitabili contraddizioni che questi mutamenti portano con sé.

La scomposizione della nostra classe, imposta dagli sviluppi che ha avuto il capitalismo negli ultimi decenni, è tale che per avere una visione di insieme di quelle che sono le condizioni sociali della classe stessa non è più sufficiente la sola partecipazione a strutture di massa (i sindacati) con le stesse modalità e con gli stessi strumenti di alcuni decenni fa. Il nostro faro principale rimane l’anarchismo di classe e il nostro percorso politico si attua nel campo della lotta di classe, ma riteniamo che gli aspetti del dualismo organizzativo non siano più oggi praticabili secondo facili schemi collaudati nei decenni passati.

Preso atto della situazione di non ritorno e ritenendo l’esperienza in AL/Fdca ormai conclusa, ci siamo autoconvocati a Bologna il 16 Giugno di questo anno.

Nell’assemblea, ritenendo che, in questa fase storica, sia necessario mantenere un forte collegamento tra i compagni e le compagne uscite dall’organizzazione politica Al-FdCA, abbiamo deciso di strutturarci in un Coordinamento delle varie realtà territoriali di appartenenza, ipotizzando specifiche iniziative di partecipazione alle manifestazioni di opposizione al potere statale e capitalistico.

Ci auto-affidiamo, collettivamente, il compito di coordinare al meglio le nostre attività per rimanere fedeli al nostro indirizzo internazionalista e anti patriottico e costruire argini contro nazionalismo e razzismo, società patriarcale e militarismo, per un mondo in pace, senza guerre.

E’ inoltre iniziato già da subito, tra noi, un confronto per aggiornare le griglie interpretative di un tempo rispetto allo scenario delle modificazioni che il capitalismo oggi impone, convinti che l’invarianza storica non può mai essere la forma organizzativa di qualsivoglia OP, a maggior ragione se si tratta di una organizzazione politica di anarchici e anarchiche.

Unire le intelligenze e le esperienze di lotta per potenziare la risposta sociale

Il confronto intrapreso, che proponiamo di aprire a chiunque condivida i nostri principi libertari e di classe, riguarda il bisogno di riflettere sui mutamenti in atto, cogliendo gli aspetti di continuità del dominio nelle sue nuove forme e modalità, ampliando la nostra base di conoscenze teoriche e di analisi e facendone patrimonio condiviso, valorizzando la nostra griglia ideologica ma in maniera inclusiva e non rigida.

Per questa ragioni ci apriamo a quanti e quante nel mondo anarchico e altrove sentono l’esigenza di mettere le proprie intelligenze, le proprie esperienze di lotta in un comune Coordinamento che sappia costruire una difesa collettiva delle lotte e della partecipazione dei e delle libertarie nella loro attività politica, culturale e sociale.

Organizzarsi per fronti tematici di lotta aperti: locali, nazionali e internazionali

Lo sfruttamento economico da parte di padroni e padroncini nei confronti dei lavoratori, dei precari, delle false partite IVA, dei giovani immigrati, degli studenti/lavoratori, e della restante classe subalterna, è sempre più decentrato e disarticolato nei territori delle metropoli e delle province.

E’ qui che risiedono le mille forme potenziali di conflitto rivendicativo ed è qui che spesso tali forme rimangono ad uno stadio embrionale, isolate dalle altre espressioni rivendicative.

L’intervento che tutte e tutti noi proponiamo si estrinseca sia nel costruire e difendere la partecipazione che, laddove sussistano le condizioni, nel sostenere e diffondere il conflitto nelle forme che i territori oggi cercano di esprimere.

Questo piano di intervento è fondamentale, oggi ancor più di ieri.

Pensiamo sia necessario organizzarsi secondo fronti tematici di lotta capaci di:

potenziare la risposta sociale territoriale;

permeare l’organizzazione politica con le proprie istanze, i propri linguaggi, i propri metodi, per potenziare la sua propria utilità sociale, mantenendola parte organica della classe stessa.

In tal senso guardiamo con interesse anche alle pratiche organizzative delle nostre organizzazioni sorelle estere, cogliendo quegli strumenti proficuamente utilizzati nelle loro realtà militanti e di intervento.

Strumenti e prossimi passiUL

Oggi abbiamo aperto una nuova esperienza, tutta da costruire.

Per questo motivo riteniamo opportuno che forma e sostanza del nascente Coordinamento siano costruite nel desiderato e atteso processo di individuazione dei vari fronti di intervento, articolando proposte e gruppi di lavoro nati con l’interessamento di compagni e compagne presenti nei vari territori.

In grande sintesi, il Coordinamento “Salamandre”:

nasce su presupposti aperti a quanti vorranno portare il loro contributo, proponendo spazi in cui analizzare le tematiche individuate per gli approfondimenti, in vista della individuazione dei fronti di lotta, da gruppi di lavoro o da singoli compagni;

si dota di un bollettino interno quale strumento per la condivisione e lo scambio di informazioni e interventi;

si dà un appuntamento annuale, pubblico, in cui costruire il dibattito e definire le varie iniziative comuni, mettendo a confronto le varie esperienze locali, nazionali ed internazionali.

Le attività funzionali di segreteria verranno svolte a rotazione.

I compagni e le compagne del Coordinamento “Salamandre”

Bologna, 10 Novembre 2024

coordinamentosalamandre@gmail.com